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Si può amare la Scrittura? Si può dialogare nell'impossibile? Nella stesura del non-racconto l'interrogativo diventa forte, sollecita. È la stessa Scrittura che incalza, soffia e traduce. Quando la Scrittura s'identifica in un nome, in Thea, il personaggio di nome Giano, duella con l'unicità di Thea, quella dell'essere senza falsi pudori, senza veli. Come Scrittura, Thea, questo rivendica. Nel suggerire parole, non può non far scuotere Fiato che è lo stesso Giano. La duplicità, che è incertezza, diventa il tramite per l'atto estetico da trasferire sul corpo di Thea con il timore dell'inizio, dell'horror vacui che qualunque gesto porta con sé nel trasferirsi su di una superficie. Giano ozia, Fiato racconta. Tre lettere rinvenute sono il pretesto. Thea-'Ntina subisce e si vendica con il rovello in cui costringe Giano. Ma, è anche la stessa duplicità di Thea a soccorre Giano nell'iniziazione, e lo induce a dirigersi nell'unità di un'Anima-Memoria, nel far rincorrere l'Udito che è Parola, il Gesto che è il Segno ed il Filo senza spessore che è l'Immagine.